Pompei
«La ricetta del Panis Pompei? Me l’ha data in sogno Terenzio Neo»
di Mario Cardone
Il gusto dell’Antico del “Panis Pompeii” è merito del lievito di mosto di vino rosso. Un segreto esclusivo di Mastro fornaio Carmelo Esposito, panificatore di terza generazione, icona del “typical food of ancient Pompeii”. La sua “invenzione” è come la trovata dell’uovo di Colombo, naturale ma allo stesso tempo geniale: utilizzare il mosto di vino rosso per lievitare l’impasto di farina.
Il segreto di don Carmelo è tutto nel vino, l’unico alimento che ha pari dignità del pane. Pane e vino sono sempre stati i pilastri della dieta mediterranea perché alla portata di poveri e ricchi, padroni e servi. Tanto è vero che Gesù Cristo li fece servire nell’ultima cena, a fondamento del sacramento dell’Eucarestia. Pane e vino erano la base del nutrimento di un universo (l’area mediterranea) cui operava Pompei, porto di mare al centro dei traffici commerciali dell’Impero Romano che lo governava.
Centro famoso nella produzione di vino del Vesuvio, esportato col marchio d’origine inciso sugli otri di terracotta, alcuni dei quali rinvenuti in Egitto come in Medio Oriente e in Asia centrale. Il vino era spesso barattato con i cereali, che arrivavano abbondanti dalla Sicilia e dagli altri granai del Mediterraneo.I chicchi di grano, mais ed orzo a Pompei venivano frantumati in farina nelle ville-fattoria dotate di macine trainate da asini (o da servi). La farina di varia natura era la base della panificazione nella caratteristica forma ad otto spicchi.
Alcuni di questi pani (trovati carbonizzati) vengono custoditi come tesori nel laboratorio scientifico del Parco Archeologico di Pompei, esposti all’ammirazione del mondo ed analizzati per scopi scientifici. La ricerca scientifica ha spiegato la filiera del pane dalle materie prime al prodotto finito. L’unico mistero è rimasto la composizione del lievito, determinante per morbidezza e retrogusto del pane.
Carmelo Esposito ha svelato a riguardo che, dopo vari tentativi non andati a segno, la formula del mosto di vino bollito gli è stata donata in sogno da un personaggio togato che lui ha successivamente riconosciuto in Terenzio Neo, pistor(fornaio) ritratto insieme alla moglie nel famoso affresco della casa di Paquio Proculo. La lavorazione del “Panis Pompeii” è tutt’oggi più o meno la stessa di duemila anni fa. Parte dal lavoro di mulino e si perfeziona nella preparazione del lievito: compete al mosto di vino fecondare le farine che, una volta impastate, si arricchiscono con specialità a chilometro zero (noci, miele, latte di capra, succo di melograno, fichi e aroma d’anice).
Sarà il calore del forno, infine, a servire un pane che esalta anima e corpo, ma soprattutto il palato. Se il gusto richiama anche la memoria dell’antico il merito è della magia artigiana, nella persona di mastro fornaio Carmelo Esposito. Lui si schermisce. Assicura che ha fatto tutto Terenzio Neo: da quando è entrato nel suo sogno gli ha cambiato la vita.